22.12.06

Auguri

A tutti auguri di Buon Natale e che sia un 2007 pieno di viaggi !

Varianti ferroviarie 1

Il taxi mi lascia avanti alla Stazione Termini.
Entro nell'atrio, guardo subito il cartellone delle partenze, putroppo ho perso il treno ed il prossimo c'è tra un ora e mezza.
Tanto tempo da aspettare, ma troppo poco per programmare qualcosa; se mi sposto dalla stazione rischio di perdere anche il prossimo, non mi resta che rassegnarmi all'attesa.
Dopo il terzo caffè al club eurostar mi sento inquieto, guardo l'orologio, sono passati nemmeno dieci minuti.
Meglio uscire a fumare la pipa altrimenti rischio la nevrosi.
Esco nella folla, mi accendo la pipa e con passo ciondolante cammino nel corridoio antistante i binari.
Non ho neppure fatto tre passi che una zingara sulla settantina, alquanto claudicante, mi si para innanzi e biascica qualcosa.
Effettivamente la poveretta è ridotta male, magari non ha nenache la pensione, magari non ha neppure casa, magari non ha nenache mangiato.
Mi cerco in tasca, penso di aver trovato cinquanta centesimi ed invece estraggo un euro; sullo slancio mi pare brutto ritornare indietro e dono la moneta alla donna che parte biascicando.
Faccio altri due passi e quasi vado a sbattere contro un'altra mendicante, giovane con un bebè al collo che dorme.
Mi guarda fissa e, senza proferir parola, scuote una scatola di cartone con delle monete.
Poverina, ha un bimbo piccolo, magari non ha di che dargli da mangiare, magari non ha i soldi per comprargli il vestitino, magari è malato, magari il padre se ne è scappato via, magari sono profughi di guerra.
Come resistere ? Infilo nuovamente la mano a caccia dei cinquanta centesimi ed estraggo due euro.
Breve esitazione, ma in fondo sono in due, se ho dato un euro alla vecchia sdentata, come negare due euro ad una madre ed al suo figlio?
Elargisco e si dileguano.
Guardo l'orologio, è passata mezz'ora.
Decido che restare al centro del corridoio può essere dispendioso, allora mi avvicino alle pareti e cerco di assumere l'aria di uno che ha fretta ed è tanto impegnato, quasi quasi mi invento anche una telefonata al cellulare.
Mi sono appena fermato innanzi alla lounge dell'alta velocità, che arrivano due ragazzini questuanti. "Ci dai una monetina ?"
Li guardo, vorrei fare lo sguardo glaciale, ma penso, poverini, magari hanno perso il treno, magari hanno fame, magari un bullo li ha depredati della paghetta, magari hanno i genitori malati o, peggio, sono stati abbandonati. E se succedesse ai miei figli ?
Infilo la mano in tasca e cerco, questa volta penso proprio che si tratta del cinquantino, ma i ragazzini sono due, me ne occorrono due. Rifrugo, eccone un'altro. Li estraggo e vedo altri due euro.
Oramai la consuetudine non può essere cambiata, non posso rifiutare a questi quello che la sorte ha scelto per loro.
Verso ed allo stesso tempo mi dico che oggi ho dato abbastanza e che con il prossimo sarò inflessibile.
Anzi, dato che è meglio prevenire che curare, mi trasferisco accanto al box dei carabinieri.
Se non ricordo male l'accattonaggio è vietato dalla Legge e non oseranno avvicinarsi ai tutori dell'ordine.
Ma forse perchè i carabinieri nel box non ci sono o forse perchè il precetto normativo non è noto, ecco che arriva un questuante concentrato di sfighe.
E' magro come un chiodo, si sorregge con le stampelle, trascina il piede sinistro che pare morto, la mano sinistra ha una posa simile ad una zampa di pollo, il volto è una collezione di pustole, l'occhio destro è bendato, apre la bocca e mostra un orripilante spettacolo di denti mancanti, mozzati, anneriti, putrefatti.
Ogni commento è superfluo, infilo la mano senza cercare e tiro su le ultime due monete, il cinquantino pluriricercato ed un decino. Il Tizio non gradisce, è troppo poco, io frugo ancora e rovescio la tasca piena solo di pelucchi e residui di tabacco.
Il mendicante se ne va senza ringraziare ed io allora, infilo gli occhiali scuri, alzo i baveri della giacca, cerco di piegarmi le labbra all'ingiù da cattivo e fuggo nuovamente nel club eurostar.
E' mezz'ora che mi rigiro sulla poltroncina azzurra, guardo l'orologio, il treno dovrebbe essere al binario, guardo il video delle partenze, ANCONA BIN. 3.
Mi apposto dietro la porta a vetri del club, inforco gli occhiali scuri, calco sulla fronte il cappello, alzo i baveri della giacca, digrigno i denti, mi accuccio per terra come i centometristi pronto a scattare.
Ecco, lo storpio ha girato l'angolo, la vecchia ha bloccato già uno, la madre col figlioletto non si vedono proprio, i ragazzini sono lontani, vvvia, scatto come Mennea, driblo due pellegrini, supero un giapponese e sono alla testa del binario 3.
Il treno, come previsto, è fermo in attesa, mantenendo andatura sostenuta, fingendo di parlare al cellulare, ed assumendo l'aria più trista che posso, cerco il vagone e l'imbocco in volata. Ancora non c'è nessuno, trovo il mio posto, mi siedo e tiro un sospiro di sollievo.
Una mano mi tocca alle spalle. Mi giro di scatto, un tizio che sembra la caricatura di Rocky, con accento marcatamente campano, vuole vendermi calzini. Faccio presente che li ho già. Lui aggiunge che sono ottimi, che costano poco e che è uscito da Poggioreale ieri. Maledicendo l'indulto, obietto che non ho moneta. Lui si offre di darmi il resto. A questo punto mi sono incastrato da solo, dicendo che non avevo moneta è come se avessi detto che li avrei presi se l'avessi avuta.
Non vorrei estrarre il portafoglio, allora contorcendomi come un girino cerco di tirare su direttamente una banconota da cinque, ma mi viene su una da dieci. Il napoletano, estrae dalla borsa un sciarpa bianco-azzurra, trionfalmente mi dice "e bravo dotto, vi siete accattato anche la sciarpa". Vorrei obiettare che non voglio nè sciarpa nè calzini ma lui è già fuori.
Il sedile è disastrato, dove non è rattoppato è sporco di gore. Un paio di viti sporgenti mi pungulano le natiche.
Cambio posizione, il treno parte ed io m'addormento.
Nel sonno sento il nome della mia città, apro un occhio, realizzo che sono arrivato.
Mi alzo di scatto, afferro borsa, cappello e giaccone e salto giù dal treno appena in tempo.
Esco dalla stazione e mi dirigo in ufficio, sono le sei, la gente è in giro per compere. Saluto alcuni conoscenti. Tira un vento così gelido che lo sento persino nei pantaloni, mi torna in mente la celebre scena di Marilyn Monroe con il getto d'aria che le solleva la gonna, ma io ho i pantaloni ed affretto il passo.
Imbocco il corso, la via principale della città, tutta scintillante di vetrine e piena di gente, saluti a destra ed a manca.
Ecco arrivo alla porta dell'ufficio, un conoscente mi saluta. Io ricambio, ma lui esita. Mi guarda tra il timido e l'imbarazzato.
Io avrei fretta e sento anche freddo, cerco di congedarmi. Allora lui raccoglie il coraggio e mi dice: "Dottore guardi che ha le mutande di fuori". Io lo guardo interrogativo e sorpreso, controllo la pattuella che è ermeticamente chiusa, lo riguardo doppiamente interrogativo. Allora lui, che ormai ha messo da parte la timidezza, mi passa dietro e con l'indice punta sul mio sedere. In un attimo metto la mano dietro e scopro un sette sui pantaloni grosso quanto la falla del Titanic. Verifico che i boxer effettivamente svolazzano con un pezzo di camicia. Maledette viti sporgenti.
Ringrazio per la segnalazione e mi rifugio in ufficio.

2.11.06

Domani è un altro giorno - seconda puntata

Casa, Lunedì, ore 6:00
Fuori è buio e freddo, dentro è caldo ed intimo, non vorrei proprio uscire, ma ho un importante appuntamento a Roma.
Sono tranquillo, prenderò il treno; una garanzia, mi dico.
Atrio della stazione, ore 6:30
Luce verde di neon. Il caos più totale, sembra di vedere un vecchio film della guerra, ovunque vi sono soldati, c'è anche qualche soldatessa, in mezzo a tanto grigioverde spiccano i colori di qualche studente, mentre i grigiblu dei pendolari cercano di non farsi notare. Ci sarebbero due sportelli della biglietteria, ma è aperto solo uno.
Cerco di capire dove inizia la fila, ma è come cercare il capo di una matassa scomposta. Intuitivamente mi metto dietro al capo che sembra più diretto per la biglietteria.
Ricordo che da bambino, quando con mio nonno facevamo il biglietto, il ferroviere armeggiava tra le manopole di un macchinario rosso fuoco che sembrava un ibrido tra una affettatrice ed un congegno per il puntamento dell'antiaerea e subito, magicamente, spuntava un piccolo biglietto in cartoncino rigido.
Oggi gli antiquati congegni meccanici hanno lasciato il posto all'elettronica: l'impiegata si sbriga tra tastiere, mouse, schermi e stampanti e dopo appena un quarto d'ora esce un biglietto che pare un fazzoletto.
Ma perchè poi fare le file quando è possibile servirsi online ? Avrei tanto voluto stuprimi con il progresso telematico, ma poichè il server erà giù, adesso sono qui che penso e conto: ad occhio e croce, se non ho sbagliato fila, ho avanti a me dieci persone che, moltiplicate per 15 minuti (media cronometrata per fare un biglietto) fanno 150 minuti, che diconsi due ore e mezzo, che significa che perdo abbondantemente il treno.
Di necessità virtù, salirò senza biglietto, pagherò una multa salata oltre al prezzo del biglietto e così darò il mio contributo al risollevamento delle FS.
Bar della stazione, ore 6:50
Cornetti di dimensioni preistorica e di consistenza vinilica giacciono dietro una teca appannata.
Cassiera assonnata, cameriere scocciato, folla accalcata.
Come disse il Poeta, non me ne curo, li guardo e passo (di corsa che perdo il treno).
Avrei voluto comprare almeno il giornale, almeno leggere l'oroscopo, almeno fare il sudoku, ma da anni l'edicola è chiusa e tanto non ne avrei avuto il tempo per fermarmi.
Binario 4, ore 7:00
Tramontana diretta dall'artico a schiaffo sulla mia nuca. Quelli che sono arrivati prima si sono piazzati sui lati sotto-vento delle colonne della pensilina, gli altri fanno come i pinguini, cercano di abbrancarsi come possono e girando offrono a turno le terga al gelo.
Io, con un principio di assideramento alle orecchie, come capitan Achab, dal ciglio del marciapiede, aguzzo lo sguardo al limitare della stazione; finalmente appare, non è Moby Dick, pare piuttosto un sorcio col muso bianco e il naso rosso.
Io ho la carrozza tre, mi dirigo dove penso che si fermerà l'inizio del treno, ma, invece, i vagoni sono numerati al contrario.
Mi sento come un salmone che risale le cascate, sbraccio contro la corrente umana e faticosamente arrivo al mio vagone.
La porta è chiusa, premo il bottone, lo ripremo, ma niente, non si apre, servirà la parola d'ordine ? Vedo uno che sale avanti, allora corro e mi arrampico anch'io.
Certo che la stella d'europa, il treno che non teme gli aerei, disegnato da Pininfarina, mi stupisce: più che un treno pare un angusto sottomarino e per giunta sotto attacco. La porta di divisione tra i vagoni è scardinata, pure quella dei bagni non si chiude ed un delicato odore di pescheria solletica le sensibili nari mattutine.
Entro nel vagone, saranno almeno 80 gradi, l'unica cosa tiepida è il caffè del carrellino.
Posto 31, ore 7:05
Il posto è contro il senso di marcia, gli altri sono già occupati, infilo come posso la borsa sotto le ginocchia e mi accoccolo nel sedile mignon. Uno scossone ed il sedile si inclina pericolosamente, guardo e mi accorgo che è fissato al pavimento con due soli dadi lenti. Altro scossone, serie di repliche decrescenti e siamo partiti.
Intorno a me inizia lo strip tease, boccheggiando come una carpa appena pescata mi unisco anch'io e, superati i primi attimi di timidezza, mi ritrovo in maniche di camicia. Le orecchie intanto si sono scongelate, hanno assunto le dimensioni di quelle di Dumbo, e per il brusco rialzo termico, a giudicare da come scottano, dovrebbero essere di un bel rosso peperone.
Sale la temperatura e cala la velocità, il treno procede a singhiozzo, dai finestrini non si vede niente perchè c'è un dito di condensa.
Mi guardo intorno, chi non boccheggia, russa.
Orte, ore 8:30
Siamo in ritardo, poco male, io, previdente, ho scelto un treno che dovrebbe arrivare a Roma due ore prima dell'appuntamento.
Il controllore è già passato ed io ho già dato, senza giornale e senza caffè, provo a dormire.
Tra poco imboccheremo la direttissima Milano-Bolgna-Firenze-Roma e fileremo a destinazione.
Entriamo in galleria, il treno strattona sempre più e poi comincia a rallentare, sempre di più, seempre di più, seeempre di più.
Ci fermiamo.
Una delle gallerie tra Orte e Roma, ore 9:30
La sosta è anomala, siamo nelle viscere della terra.
Un altoparlante gracchia qualcosa in un idioma sconosciuto.
Guardo gli altri passeggeri interrogativo, ma nemmeno due asiatici hanno capito cosa ha detto.
Stessa galleria, ore 9:45
Passa il controllore. Folla ansiosa di notizie, l'uomo, serio, annuncia un guasto tecnico ed aggiunge che tra pochi minuti dovremmo ripartire.
Cerco di sistemarmi più comodo che posso, in fondo, sono in un treno al caldo, con la luce, assieme ad altre duecento persone ed ho ancora un vantaggio di un ora.
Parte la luce, poi si riaccende e poi si spegne.
Ecco, adesso siamo al buio. Aspetto, se c'è una cosa che non può mancare in un treno è l'elettricità, tra poco riaccenderanno le luci.
Stessa galleria ore 10:00
Siamo fermi, al buio e cominciamo a cercare i vestiti perchè la temperatura sta scendendo.
Guardando dalla porta di comunicazione si vede la luce nel vagone accanto, decido di trasferirmici.
Qui si sono formati dei gruppi. C'è chi impreca contro il governo, chi contro Trenitalia, chi contro il Padreterno.
Mi limito ad ascoltare i soliti luoghi comuni, intanto mando il primo SMS con cui avviso possibile ritardo causa guasto del treno.
Stessa galleria ore 10:30
Il nervosismo cresce, il controllore si è nascosto. Primo attacco isterico, una donna comincia strillare, qualcuno cerca un medico. L'altoparlante geme un nuovo comunicato, riusciamo a capire, dopo molte interpretazioni, soltanto "trenta minuti".
Invio un secondo SMS di avviso reiterato ritardo.
Stessa galleria ore 11:00
Il controllore è riapparso, l'isterica ha vomitato, una donna incinta pare abbia le doglie, io cerco di ricordarmi una certa posizione joga.
Secondo le ultime notizie dovrebbero arrivare i soccorsi da Roma od Orte.
Stessa galleria ore 11.15
Zitti tutti! Una voce imperiosa sovrasta le altre ed impone il silenzio.
In lontananza si sente il ronzio di un diesel.
Sono i soccorsi ! Evviva !
Il controllore ha riacquistato l'autorità e spiega che ci traineranno fino alla più vicina stazione.
Mi sento come un naufrago che scorge il pennacchio di fumo della nave che lo salverà.
Il treno si muove! Uno strattone e poi, di nuovo immobili.
Notizie concitate, si è rotto il cavo di traino !
Stessa galleria ore 11:45
Comincio a pensare che mancherò all'appuntamento ed allo stesso tempo penso che sarebbe prudente viaggiare con uno zaino fornito di torce, picconi, razioni di emergenza, razzi di segnalazione, cassetta pronto soccorso, giubbotto salvagente...
La donna incinta pensa che partorirà e lo chiamerà "Enrico" come la talpa di Lupo Alberto.
Stessa galleria ore 12:00
Il personale di bordo riunisce tutti i passeggeri negli ultimi vagoni, gli unici illuminati e ci spiegano che sarà fermato un eurostar sul binario accanto al nostro e saremo traghettati sull'altro treno. Ci prepariamo con lo stesso zelo con cui i naufraghi del Titanic assiepavano i ponti che si immergevano.
Una strana sensazione mi pervade, io sono la reincarnazione di Otto Lidenbrock, ho trovato la pergamena e raggiungerò il centro della terra.
Stessa galleria ore 12:30
A quanto pare l'eurostar di salvataggio ritarda.
Invio altro SMS: non aspettatemi per pranzo stop. Cercate tenda rossa stop. Armaduk ha finito cibo per cani stop.
Scatta l'ordine di evacuazione: prima i feriti, poi i vecchi e bambini, poi le donne, poi gli uomini, poi l'equipaggio e per finire il capitano.
Dal finestrino vediamo l'altro treno affiancato, trattasi di superbo esemplare dei nuovi eurostar grigi e verdi.
Attraverso delle passerelle transitiamo nel nuovo treno.
Scopriamo altri passeggeri che ci guardano stupiti, si tratta del Milano Roma che viaggiava in perfetto orario.
Noi ci sentiamo come i reduci di guerra, noi abbiamo una storia da raccontare, e già sento altri compagni di viaggio, dotati di ars oratoria, narrare le peripezie di binari in tempesta, fulmini a ciel sereno, fiamme sinistre e terribili mostri guardiani.
Punto imprecisato subito dopo la galleria, ore 12:45
Il treno di ferma.
Ci guardiamo sgomenti.
Qualcuno cerca già di individuare il menagramo frugandosi per trovare i cerini per accendergli il rogo.
L'altoparlante provvidamente interviene spiegando che trattasi di sosta tecnica per sbarcare i feriti.
Guardiamo dai finestrini, effettivamente ci sono due ambulanze e due macchine dei carabinieri.
La donna incinta scende sorretta da due lettighieri, ora dovrà trovare un nuovo posto eccitante per partorire ed un nuovo nome per il pargolo.
Roma Termini, ore 13:30
Ingresso trionfale in stazione. Ci sarà la televisione? Alcune signore previdenti estraggono gli attrezzi e si restaurano il volto per l'occasione. Ci sarà il ministro dei trasporti ? Il Presidente della Repubblica ? Sua Santità ?
Sono intimidito mentre scendo gli scalini.
Sul marcipaiede solito casino. Carrellini di Chef Express, macchinette con spazzoloni rotanti, macchinette con carrellini vuoti, tanta gente che si muove indifferente.
Non c'è nessun VIP. Si avvicina invece un individuo che mi propone tre paja di calzini in filo di scozia a 5 euro.
Discendo il marciapiede ed in fondo vedo un cartello "ASSISTENZA EUROSTAR".
Volevo ben dire, ci hanno preparato l'accoglienza !
Seguiamo (i duecento dell'eurostar incidentato ed i trecento di quello dirottato pel salvataggio) una grassa ferroviera che sculetta fino al club eurostar.
Qui ci sono due tavolinetti, di quelli pieghevoli da giardino, con dei cornetti, un thermos e bicchierini di carta.
Un'onda umana tutto travolge ed io, che sono un po' indietro, non trovo neppure i tavolini.
Squilla il cellulare. Un SMS da parte di coloro con i quali avevo l'appuntamento, mi comunicano gentilmente che l'appuntamento si è felicemente concluso e che non abbisognano di me.
Roma Termini, ore 14:30
Cartellone giallo delle partenze.
C'è un treno che parte tra un'ora (cantava Battisti).
Se mi dice bene forse torno a casa per cena.

Originali

Piove.
Entro in casa, mi volto e guardo le impronte che ho lasciato.
Ognuna è diversa dall'altra ed ogni momento, asciugandosi, mutano, ciascuna differentemente e non è possibile ripeterne anche una sola.
Ogni momento è diverso dall'altro, ogni respiro cambia rispetto al precedente e rispetto al successivo, tanti originali irripetibili che si cancellano appena fatti.
E' l'inafferrabile presente, il granello di sabbia che, impercettibile, passa nella clessidra dal cono del futuro a quello del passato.
Croce e delizia.
Infaticabili creature artefici di inconsapevoli originali.
Ogni gesto, ogni momento è prezioso in quanto irripetibile.
Sono felice di esistere, di vivere questa meravigliosa vita ogni giorno diversa nella sua apparente ripetizione.
Anch'io creato, mi sento creatore del mio mondo.
Microcosmo in comunione col macrocosmo.

M'è dolce naufragare

Lucide forme ambrate si snodano e si abbracciano tra loro.
Silenzio.
Attesa.
La lama lucente incide il velo sottile, che, traslucido d'olio, oppone una minima resistenza prima di cedere croccante.
Odori di remote isole meridionali, zibibbo, cannella, limone, scaldano le narici.
Le fauci diventano umide di desiderio.
Frammenti scomposti di mele asprigne, maturate nell'anice, languidamente adagiati tra gherigli di noce si offrono impudicamente.
Una dorata lacrima di miele scivola maliziosamente.
La mano tremante dal desiderio s'accosta timorosa di sconvolgere tanta bellezza.
Che sinfonia ! L'acidulo ed il dolce, l'esotico ed il nostrano, il secco e maschio anice avvinghiato all'umida e femmina mela. Nessuno prevale, tutti si completano.
E allora,
socchiudo gli occhi e mi lascio teneramente naufragare in questo oceano di sapori.

Domani è un altro giorno - prima puntata

LONDRA, MERCOLEDI' ORE 21:00
Stanza d'albergo illuminata dal debole chiarore di un monitor, lo schermo visualizza il sito del Ministero delle infrastrutture e Trasporti, sezione scioperi. Giovedì, settore aereo, modalità 8 ore dalle 10:00 alle 18:00.
Mi agito, controllo il biglietto, mi becco in pieno lo sciopero, lieve e sommessa imprecazione. Consulto l'orario, c'è un volo che arriva prima dello sciopero, ma parte alle 6:30. Breve dilemma interiore, prevale la voglia di tornare a casa, chiamo la compagnia aerea, pago la tassa e sposto il biglietto.
LONDRA, GIOVEDI' ORE 4:00
Stanza d'albergo, bagno illuminato da luce verdastra di lampade a basso consumo, nuvola di vapore condensato sullo specchio.
Ho due occhiaie da fare invidia a Dracula quando è a digiuno, ma corro, salto la colazione che è troppo presto. Arrivo all'aeroporto e con grande sorpresa trovo una fila di zombie al check-in, vado ai controlli di polizia, identica fila, finalmente accedo alla mitica area dei duty free. Provo a fare colazione, nuova fila per entrare. Inghiotto schifezze e mi ustiono le tonsille con un caffè espresso da mezzo litro. Corro al gate e mi metto in fila con gli zombie.
FORLI', GIOVEDI' ORE 9:00
Paesaggio nuvoloso e brumoso, freddino.
Atterrato ! Fila per scendere, autobus, vado a ritirare i bagagli. C'è una squadra inglese femminile di scherma, dopo due ore di volo, perfettamente sincronizzate vanno tutte al bagno. Intanto sul nastro arrivano i bagagli; sciabole e fioretti sono custoditi in contenitori stretti e lunghi che, sul nastro, visto che le legittime proprietarie essendo altrove impegnate non li ritirano, si incastrano al primo giro. Il nastro inesorabile non si ferma e continua a vomitare bagagli che alimentano un mostruoso groviglio. Finalmente tornano in massa le moschettiere e d'impeto si gettano sui bagagli ammonticchiati. Vuoi per cavalleria, vuoi per pigrizia, mi siedo paziente ed aspetto che la ressa si sfoltisca. Aspetto, aspetto, finchè con disappunto noto che il nastro è stato pulito e non c'è rimasto neppure il mio bagaglio.
Vagamente contrariato, esco e chiedo dove devo andare per denunciare lo smarrimento. Per strada chiedo informazioni per il treno e con crescente disappunto vengo informato che c'è sciopero dei treni fino alle 13:00. Decido di noleggiare una macchina, ma l'idea non è originale ed è rimasta solo una utilitaria color verde muffa; la prendo.
FORLI', GIOVEDI' ORE 11:00
Parcheggio aeroporto, nuvoloso, brumoso, freddo.
Mi incastro nella macchinina, metto in moto, mi sintonizzo su onda verde e parto verso casa. Dice il CIS viaggiare sicuri che la A14 è bloccata prima di Fano, non dice nulla per la E75, scelgo quest'ultimo itinerario. Inizio a salire verso il Verghereto, le nuvole da scure diventano bianche ed è sempre più freddo. Salgo ancora, qualche fiocchetto di neve nell'aria, mi viene un dubbio, accosto, apro il bagagliaio e scopro che non ci sono le catene da neve.
Continuo, adesso nevica, ma non attacca, vedo un cartello: "obbligo di catene a bordo".
All'uscita di una galleria c'è un posto di blocco, si controllano le catene, io riesco a nascondermi dietro ad un TIR e proseguo sempre più solo, sempre più agitato, sempre più nella neve.
Alla folle velocità di 30 Km/ora raggiungo il valico, grande sospiro di sollievo, è noto che un corpo per effetto della forza di gravità in discesa viaggia anche se non ha le catene.
A destra vedo un'area di sosta e la mia vescica si ricorda che da oltre otto ore non è stata ancora vuotata, mi fermo.
VERGHERETO, GIOVEDI' ORE 14:00
Area di sosta, nuvoloso e neve.
Mentre rifletto quanto siano elementari i piaceri che possono rendere felice un uomo, risalgo nella macchinina, mi lego ben benino, avvio il tergicristallo ed un botto fortissimo mi squote brutalmente. Esco nella neve e scopro una macchnina bianca che inopinatamente ha parcheggiato nel mio sportello destro. Con cautela mi avvicino e, attraverso lo strato di ghiaccio che copre il parabrezza appannato, vedo due grandi occhiali rettangolari neri che incorniciano due occhi spalancati che mi fissano privi di una significativa espressione raziocinante. Mi avvicino al finestrino che si apre lentamente e dalla fessura a tutto volume esce una voce nasale e ritmata che con le "e" chiuse recita il rosario di "Radio Maria".
Finalmente metto a fuoco due monache intabarrate di nero, circondate da santini e fagotti, che in romagnolo farfugliano "Gesù, Maria !".
Dopo un'ora ho completato il CID, ho fatto le foto col telefonino che squilla insistentemente ed al quale mi ostino a non rispondere. Mi rimetto in marcia, il telefonino suona, non ho l'auricolare e, vista la giornata, voglio evitare altri guai.
Mi fermo ad un area di sosta in pianura, dopo che la neve è stata sostituita da una pioggerellina funerea come il mio umore.
Rispondo, è il mio socio, ometto il racconto delle mie vicissitudini e lui, lapidario, mi dice: "Ieri notte sono entrati i ladri in ufficio, non hanno rubato niente, salvo il vestito nuovo che avevi ritirato dal negozio ed avevi lasciato in ufficio".
Riattacco senza commentare, stacco la batteria del telefonino e proseguo.
CASA, GIOVEDI' ORE 19:00
Atrio di casa, fuori è buio e freddo, dentro c'è una calda luce gialla ed è caldo.
Con le spalle curve, senza bagagli, entro in silenzio, moglie e figli mi guardano muti. Tacendo vado in camera da letto, mi spoglio, infilo il pigiama, entro nel letto e chiudo la luce.
Come disse qualcuno, domani sarà un altro giorno.

18.9.06

Pulvis

La polvere è figlia del tempo.
Ogni giorno lui, il padre, erode persone e cose e lei, la figlia,
inquieta vaga, sospinta anche dal più misero sospiro.
Silenziosa e capricciosa, invisibile, penetra ovunque e, quando il
soffio motore finalmente cessa, si ferma in attesa di nuovi venti.
E' così che lei, la polvere, è pure testimone dell'assenza di
movimenti; nella quiete, impercettibilmente, essa, giorno dopo
giorno, sedimenta, acquista consistenza, si manifesta a danno di ciò
che copre.
Guardo dal vetro impolverato di una finestra e le cose perdono il
loro contorno, i colori sfumano, la luce affievolisce.
Chi, immobile, abita nella stanza non si accorge della metamorfosi e,
piano piano, vede un paesaggio non più reale, che, suo malgrado, è
mutato e non corrisponde più all'immagine sbiadita del ricordo.
Il tempo non erode solo ciò che è fisico, anche l'anima è preda di
Kronos; così, se le stanze dell'anima non vengono vissute, piano
piano, vengono coperte dalla polvere che scende silenziosa come la neve.
La consuetudine, l'abitudine, la distrazione, la pigrizia, la
superficialità, il silenzio lasciano chiuse quelle stanze, le
finestre diventano opache ed allora avviene la sostituzione del reale
col ricordo.
Ci si illude di vedere e si confonde la luna con il sole.
E quando si scatena una tempesta, questa arriva improvvisa,
inspiegabile, che dal vetro non era possibile prevederla ed ecco che
le folate di vento sempre più forti spalancano la finestra, la
polvere turbata si rimescola in vortici bianchi e fugge nuovamente.
Tentando di richiudere l'imposta, ci si accosta alla finestra e lo
sguardo contempla la cruda realtà esterna.
Che cambiamento !
Come può essere tutto accaduto così all'improvviso ?
Perchè ?
Per quale causa ?

4.9.06

Trasporti e virtù

Due principi mi guidano irremovibili:
1) la pazienza è la virtù dei forti;
2) la speranza è l'ultima a morire.
Pensavo che per alleviare i disagi ai passeggeri si usa preannunciare
la data di un sciopero in modo che chi deve spostarsi possa regolarsi
di conseguenza. Confidando in questa logica, avendo già acquistato un
biglietto Alitalia con partenza il 7 settembre da Milano per Perugia,
e leggendo sui giornali dello sciopero di 24 ore programmato per tale
data, chiamo il call center Alitalia per spostare il biglietto. La
signorina, gentile, mi risponde che la tariffa da me acquistata non
consente nè lo spostamento nè il rimborso del biglietto. Paziente
anch'io, spiego che sono costretto a spostare il volo per motivi da
me non dipendenti quali appunto lo sciopero. La signorina dopo aver
consultato il supervisore mi dice che dovrei recarmi in aeroporto il
7 ed attendere fiduciosamente la mia riprotezione sul primo volo
disponibile. Peccato che io viaggio per lavoro, che devo essere a
Perugia venerdì mattina e che su Perugia ci sono solo due voli
serviti da un piccolissimo aereo sub-affittato ed il primo della
giornata parte alle 14:25.
Forte della Carta dei Diritti del Passeggero (Quinta Edizione)
eccepisco che la procedura in caso di cancellazione del volo
(l'aeromobile non parte), prevede l'offerta di un volo alternativo
con un anticipo di due settimane, e che essendo nota la cancellazione
del volo avrei almeno diritto a tale trattamento (anche se l'anticipo
non è stato rispettato e se l'offerta non c'è stata). La signorina si
riconsulta col supervisore e pazientemente mi risponde che siccome lo
sciopero può essere revocato fino a 24 ore prima, ad oggi, 4
settembre, almeno teoricamente, il volo non è cancellato e che,
dunque, al massimo potrò chiedere di spostare il volo solo dopo la
conferma del suddetto sciopero.
Io, sempre paziente, ma un pochino sgomento, a meno di due giorni
dalla fatidica data, passo in rassegna le seguenti scelte:
a) pregare ardentemente perchè lo sciopero sia revocato o confermato
in tempo utile per trovare posto e partire il 6;
b) recarmi tranquillo e fiducioso, previa aspersione di acqua santa,
agli imbarchi il giorno 7 per bivaccare a Malpensa fino alla mia
riprotezione;
c) perdere il biglietto, aggiungerci il costo di un biglietto
ferroviario (sperando che non vi siano incidenti o agitazioni del
settore), trascorrere almeno 6 ore per percorrere i circa 400
kilometri che separano Milano da Perugia) con i veloci treni italiani.
Pazientemente, mi chiedo, ma perchè la gente non usa i trasporti
pubblici ?

17.8.06

Ciò che resta

Mia madre sta muorendo ed io, assieme a mia moglie e mia sorella, vado a prenderle l’abito per l’ultimo viaggio.
Rientro nella casa ove sono vissuto per tanti anni e, mentre loro cercano tra gli abiti, solo, mi aggiro per quelle stanze un tempo familiari.
Cerco ricordi, aiuti per perdere il meno possibile.
Salgo in mansarda, ecco la poltrona dove amava fare le parole crociate; scendo in cucina, ecco la lavagnetta della spesa, in un cassetto i suoi occhiali, vecchie riviste di prima che il male si manifestasse; vado in salotto, la vedo mentre spolvera i mobili; nel bagno, i suoi trucchi, rivedo i gesti delicati con cui li usava.
Ecco cosa resta, dopo l’onda della morte.
Il quotidiano, un gesto, un oggetto apparentemente banale, una scena, un sorriso.
Cose che non erano destinate ai posteri, ma per me, ora, sono invece le più importanti.
Comincio ad ammucchiare in una borsa, poi, capisco che ciò che cerco non è nei feticci, ma in un luogo sicuro ed esclusivo, dentro di me.
Nulla può la Mietitrice, che lei ha impresso la sua immagine, in me.
Io stesso, così come sono e sento, sono il prodotto anche di tutti coloro che amo. Come una spugna ho assorbito senza rilasciare, come coralli sono il risultato di superfetazioni, come un tronco sono formato da miriadi di anelli concentrici ove ho imprigionato anche parti di mia madre.
E nulla e nessuno mai potrà togliermeli perché sono la mia essenza.

8.8.06

Infausto agosto

Al solstizio di giugno il sole raggiunge la sua massima forza, la luce prevale sul buio, il calore dei raggi è benefico come l'abbraccio di una madre ed io gioisco.
Ma presto quel calore affettuoso e generante si secca. La forza avanza l'amore, la luce, che presagisce il declino, è disperata, dimentica l'abbraccio con l'ombra, la vede nemica e tutto brucia spietata al mezzogiorno.
E' agosto ed io soffro per tanta inutile violenza portatrice di morte.
Il mio cuore, però, già conosce l'esito della stolta battaglia, arriverà settembre riconciliatore coi ricordi dei passati momenti d'amore.
Il giorno di nuovo riabbraccerà morbidamente la notte, che, tenera, dimentica delle passate battaglie, lo ricambierà.
E verrà novembre pietoso al capezzale del giorno per prepararlo al prossimo trapasso.
Infine dicembre e gennaio, quando la notte da sposa amante ritorna madre amata.
E sarà al solstizio di dicembre, quando, in quei momenti di maggior buio, nel grembo della Madre si compirà il gran Mistero ed allora io, nuovamente, gioirò.

27.7.06

Tabula rasa

Mattino terso di sole, la sabbia è ancora umida della notte, il mare tranquillo carezza la riva.
Arriva una famiglia, odori di creme solari al cocco e vaniglia, si apparecchiano sdraia e lettino, sistemati gli occhiali da sole spunta il quotidiano.
Il figlio, deciso, si dirige sul bagnasciuga, prepara paletta e secchiello, si da inizio all'opera.
Torri circolari, bastione centrale, mura possenti, poi, un largo fossato, un porto, ancora mura e strade, pennoni sulle torri più alte. Infaticabile, inarrestabile, l'opera s'avanza; guglie traforate di fine fattura sul mastio, scale e feritoie, verdi bandiere sciolte al vento.
E' mezzogiorno, il castello si mostra possente ai viandanti accaldati che ne restano ammirati.
Mirabile opera che sposa solidità, sicurezza e bellezza.
Io, testimone ammirato, fantastico sulla fortuna di quegli abitanti che, al riparo di mura e torri merlate, prosperano e progettano sicuri futuri.
Chi mai potrebbe valicare tali difese ? Cosa mai potrebbe arrecare offesa a tale fortezza ?
A largo, veloce, passa una barca.
Dal solco di schiuma parte pigra e lunga un'onda che, avanzando, si muta, si solleva, s'inarca e assalta la riva.
In una nuvola scomposta di fango, nello spazio di un attimo, sogni e certezze si sciolgono.
Ecco, ora, l'onda si ritira. La riva torna quella di ieri: una tabula rasa.

20.7.06

Grazie Alitalia

Non amo arrivare tardi agli appuntamenti, specie se si tratta di voli aerei da prendere. Ma, mio malgrado, arrivo giusto giusto in aeroporto; al check in solita fila, sbircio il banco riservato freccia alata, libero ! Mi precipito, affannato porgo passaporto biglietto e carta freccia alata, ed attendo. La signorina, gentilissima, mi chiede: ma non le sembra un po' presto ? Guardo l'orologio, no, non è presto, mancano quaranta minuti alla partenza. La signorina replica: guardi che lei ha il biglietto per il volo della sera che parte tra otto ore. Panico, sudore freddo. Ho dimenticato di cambiare il biglietto ! Mi giro, la biglietteria è stranamente vuota, schizzo. Londra Milano c'è posto, ma per il volo successivo sono in lista d'attesa. Lo prendo e prego.
Per emettere il biglietto perdo quasi mezz'ora per via della procedura, ma l'impiegato, per fortuna, per risparmiare tempo, contemporaneamente mi accetta. Corro: scale mobili, controllo bagagli, controllo documenti, negozi duty free, schermi informativi, ancora corridoi, scale mobili, ricontrollo dei documenti, consegna della carta di imbarco, scale, corridoi, soffietto e, finalmente mi siedo madido di sudore al mio posto. Ma l'aereo non parte. Nervoso guardo l'orologio ogni secondo. Il capitano annuncia ritardo causa congestione Malpensa. Calcolo mentalmente: in lista d'attesa bisogna arrivare prima, questa coincidenza se in orario mi lascia appena venti minuti, concludo: non ce la farò mai. Partiamo quaranta minuti in ritardo. Da sopra le nuvole penso a Malpensa, analizzo le forme di trasporto alternative, concludo che passerò otto ore a Malpensa anzichè a Londra.
Eolo, anche se non richiesto, ascolta la mia angoscia e spinge favorevolmente l'aereo che guadagna il ritardo. Atterriamo ed io torno a sperare. Frenesia dell'uscita, anche se contrario ai miei principi spingo, sgomito, sorpasso, non c'è soffietto. Maledico Malpensa, perdo il primo autobus, salgo sul secondo, mi raggiungono gli spintonati, sgomitati e sorpassati. Evito gli sguardi e mi metto in prima fila sulla porta. Corro: porte automatiche, corridoi, scale mobili, controllo bagagli, controllo documenti, corridoi, negozi duty free, saletta alitalia. Trafelato spiego all'impiegata che sono in lista d'attesa sul volo che sta partendo, lei controlla: stanno già imbarcando sull'autobus, corra al gate che io telefono. Ricorro: scale monili, corridoi, sale d'attesa, arrivo al gate. Il trolley ha le ruote fumanti. Non parlo più, esibisco biglietto, passaporto e mitica freccia alata.
La signorina si alza, esce, va nell'autobus, recupera un passeggero, è un assistente di volo che tornava a casa, lo riporta al gate, mi consegna la carta d'imbarco.
Evito di incrociare lo sguardo con chi mi ha ceduto il posto e penso: mors tua vita mea.
Sono in aereo sopra gli appennini, torno a casa !
Grazie Alitalia e grazie Freccia Alata.

18.7.06

Come le onde del mare

Buio profondo di caverne mai violate, di spazi mai raggiunti, di una notte senza luci.
Buio pieno di terreno seminato, di cose da formare, del grembo di una madre.
Sfumature blu cobalto plasmano il nero informale. Gobbe, rotondità, fianchi procaci.
Nuove sfumature dal blu all'azzurro separano il cielo dalla terra nera.
Una sottile lingua rossastra sgorga lenta ed improvvisa. Tutto tace, ma è un silenzio gravido di chi attende un grande evento.
Un soffio di vento muove l'erba, le allodole cantano, i primi raggi di sole rivelano il verde di prati e boschi.
Sorge il sole bianco che asciuga il rosso del parto della notte.
Sono seduto su una cima degli Appennini, non è la prima volta che vedo sorgere il sole, ma ogni volta rimango affascinato da questa nascita quotidiana. E' il momento che preferisco, lo sento carico di energie e penso che il modo migliore sia di assaporarlo dalla cima di un monte, seduto sulla terra ancora tiepida del calore del giorno precedente, annusando l'aria fresca della notte.
Amo la luce morbida ed azzurra dell'alba che, pudica, rispetta le forme delle cose permettendo di coglierne l'interezza.
Penso che ogni notte io muoio, che tutto il mondo muore ogni notte, ed ogni mattina il sole e la terra tutto ricreano.
Pochi attimi fuggenti, mai uguali a se stessi come le onde del mare, ed io, testardo, ogni volta, cerco di coglierne l'essenza per fissarla immutabile.

12.7.06

Scelte

Afoso pomeriggio d'estate.
Frssk, frusc, meow, cirp, cirp.
La gatta esce dal cespuglio con un passerotto in bocca.
Corro, la spavento, lei lascia la preda ed io la prendo in mano.
Sembra morto, poi, apre gli occhi. Resta immobile nel palmo della mano.
La gatta mi gira nervosa sotto le gambe.
Prendo una gabbia, di quelle dipinte di verde per le tortore, ci
metto l'acqua, qualche briciola di pane, un vecchio morbido calzino e
ci adagio il passerotto.
Lui resta immobile. Appendo la gabbia sotto la fresca ombra dell'alloro.
La gatta, sorniona, osserva da lontano la preda sfuggitale che riposa
nel suo inarrivabile castello.
Il passero si riprende, la gabbia lo protegge e lo opprime, le sbarre
sono larghe e lui è piccolino.
Infila la testa, spinge e si sforza, scivola fuori, ma non ha ancora
imparato a volare e cade per terra.
La gatta fulminea gli è addosso, io sono altrove.
E' sera, ritorno nella veranda, controllo il passero e non lo trovo.
La gatta riposa soddisfatta sulla poltrona di vimini, per terra, un
ciuffo di piume grigie.

7.7.06

Passaggi e paesaggi

Giallo, verde, grigio, azzurro.
Strisce disordinate di una bandiera al vento.
Buio improvviso, lampi di luce che lasciano tracce come meteore.
E poi nuovamente luce.
Sono in treno, pigramente guardo dal finestrino.
Io sono immobile e tutto invece corre in fretta.
E' come il tempo, penso.
Io mi sento immobile ed immutato, eppure tutto scorre comunque.
Se non ci fosse ogni tanto una stazione, non mi ricorderei neppure più dove mi trovo.
Ma la strada che ho percorso la conoscerò solo quando arriverò.

5.7.06

In cammino, una nuvola nera.

Sono in cammino da molto, mi sento bene, ancora fresco in forze.
Mi trovo in una radura tra cedui di querce, l'erba alta ingiallisce per il sole.
Una nuvola mi oscura il sole. Non si è formata improvvisamente, la riconosco, l'ho già vista altre volte. Da bambino era piccola e veloce, è passata e non me ne sono nenanche accorto. Più tardi si è affacciata d'agosto, era più grande ed è stata ferma a lungo. Adesso sembra ancora più grande, ma è sempre la stessa.
Non è la nuvola che cresce, ma sono io che mi avvicino ad essa ed ogni volta la percepisco più grande.
Capisco che una delle prossime volte potrei essere dentro la nuvola.
Sono confuso, ho paura, non mi sono preparato (se mai avrei potuto).
Sò che nè la nube nè io ci possiamo fermare e che posso solo aspettare che sia passata.