Grazie alla sua abilità di generale riuscì a garantire a Roma il controllo del mediterraneo, ponendo le basi del futuro impero.
L'Africano era membro di una antica famiglia molto influente a Roma; mentre lui era impegnato a guidare gli eserciti, il fratello Lucio curava gli affari di famiglia, forse non sempre con eticità.
L'Africano, tornò trionfante e fu l'apoteosi: il popolo lo amava, i soldati lo veneravano, i politici lo invidiavano e temevano.
Catone il Censore, di origine plebea, aveva acquistato la fama grazie alla sua inflessibilità.
Mentre l'Africano era in guerra, Catone stava a Roma, mentre l'Africano trionfava, Catone indagava.
Partirono le accuse, scoppiò lo scandalo, Catone portava il vessillo della verità, i politici soffiavano sopra.
L'Africano era il bersaglio da abbattere, costasse quel che costasse, ché la giustizia ed il vero non hanno riguardi.
Con curiosa coincidenza, il giorno stesso dei festeggiamenti dell'anniversario di Zama, l'Africano, indagato, fu chiamato a deporre in tribunale.
Il generale che aveva sconfitto in campo aperto i nemici di Roma, cedette ai veleni dei palazzi.
Si rifugiò in campagna, dove, amareggiato, morì dopo un anno.
Dispose che sulla sua tomba vi fosse scritto: "Patria ingrata non avrai le mie ossa".
Il tempo gli ha reso postuma giustizia.
Pare una cronaca di oggi, invece è una storia vecchia di duemila anni.
Se incredibili appaiono le analogie, ancor più incredibile è che dopo duemila anni siamo sempre gli stessi.
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